Intervista: Mya Lurgo e l’arte oggettiva

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Lungo questa intervista con l’artista Mya Lurgo proveremo a fare delle riflessioni sul modo di concepire l’arte contemporanea con lo scopo di introdurre una tematica: quella dell’arte oggettiva.
Con il termine arte oggettiva si intende una forma di arte capace di avere sul fruitore un effetto indipendente dalla sua soggettività, psicologia o cultura di provenienza (un effetto oggettivo appunto).
Grazie al racconto della performance Sensibile è la chiara luce, com’è nata, com’è stata organizzata e che risultati misurabili ha prodotto, possiamo tentare di ripercorrere, tappa per tappa, la creazione di un momento d’arte oggettiva.
L’intento è quello di lasciare aperte numerose domande, incluse le principali; è possibile creare un’opera – magari astratta – dal messaggio chiaro e univoco? O ancora, si può realizzare una visione priva da ogni nostro condizionamento?

Arte oggettiva: come nasce l’incontro con questa pratica?
La mia ricerca artistica spazia da anni tra temi spirituali e testi per così dire esoterici, sebbene al giorno d’oggi sia rimasto ben poco materiale occulto per chi indaga quanto me. Tra le tante letture ho avuto modo di addentrarmi negli insegnamenti Georges Ivanovič Gurdjieff in merito all’arte oggettiva e ne sono rimasta affascinata.
Mi ero quasi affezionata all’idea che la bellezza fosse nell’occhio di chi guarda… ma poi ho compreso, grazie alle sue parole che lo sguardo dell’osservatore – a determinate condizioni – può essere essere guidato verso una nuova percezione, a dir poco neutrale e svincolata dal proprio vissuto, dal delirio ottico e dal giogo attrattivo, repulsivo e indifferente. Questo significa, di fatto, instaurare una vera e propria comunicazione con il fruitore dell’opera e non soltanto un dialogo aperto, in cui ognuno interpreta ed esperisce ciò che può. L’intento artistico, con l’arte oggettiva, arriva a destinazione, attraversa l’opera, si carica di significato, approda senza deviazioni di sorta nello spettatore e solo in rari casi l’insensibilità prevale, motivo per cui può ritenersi una certezza a tutti gli effetti. Riporto un estratto dal testo Frammenti di un insegnamento sconosciuto, scritto da Petr D. Uspenskij, allievo di Gurdjieff per presentare l’idea: “La differenza tra l’arte oggettiva e l’arte soggettiva, consiste nel fatto che nel primo caso l’artista crea realmente, fa ciò che ha intenzione di fare, introduce nella sua opera le idee e i sentimenti che vuole. E l’azione della sua opera sulla gente è assolutamente precisa; essi riceveranno, naturalmente ciascuno secondo il proprio livello, le stesse idee e gli stessi sentimenti che l’artista ha voluto loro trasmettere. Quando si tratta di arte oggettiva, non può esservi nulla di accidentale, né nella creazione dell’opera stessa, né nelle impressioni che essa suscita.” 

Come sei arrivata a ideare la performance Sensibile è la chiara luce tenutasi al Centro culturale e museo Elisarion?
Ci sono arrivata con ore di pratica in un periodo di tre anni, imparando a focalizzare l’intento per mantenerlo vitale, non cedendo a pensieri estranei, onde evitare di perdere il sentimento primario da trasmettere oggettivamente al pubblico; adattando il respiro, rilassando il corpo nel gesto creativo e assecondando la voce interiore per concretizzare l’informazione.
L’arte oggettiva è un processo, nel quale l’artista acquista l’arte di divenire totalmente presente a se stesso, per poi accompagnare il pubblico in una dinamica – prassi acentrica per l’osservazione iper lucida – atta a conferire la purezza, del vedere, anziché lo sguardo contaminato da memorie antecedenti. Questo è stato il mio approccio, ma non di meno è valso il confronto e la sinergia con con altre due performer: Giovanna Galimberti per il movimento – Configurazione Fluttuante – e Nadia Radici: In-Canto. La nostra trilogia ha permesso l’apertura di un varco tra le parvenze fallaci – le interpretazioni soggettive – affinché la percezione incorrotta o “chiara luce” potesse realizzarsi negli spettatori, anche solo per pochi istanti o più poeticamente, come una folgore.
Le parole di Eckhart Tolle rendono impeccabilmente questa idea: “Il vostro satori è durato forse pochi secondi prima del ritorno alla mente, ma c’è stato altrimenti non avreste percepito la bellezza. La mente non può né riconoscere né ricreare la bellezza. Soltanto per pochi secondi, mentre eravate completamente presenti, vi è stata quella bellezza o quella sacralità. Per via della ristrettezza dell’intervallo e di una mancanza di vigilanza e di prontezza da parte vostra, probabilmente non siete stati in grado di vedere la differenza fondamentale tra la percezione, la consapevolezza della bellezza in assenza di pensiero e l’assegnazione di un nome e la sua interpretazione come pensiero: l’intervallo temporale è stato così piccolo che tutto è sembrato un processo unico. La verità sta però nel fatto, che nel momento in cui è ricomparso il pensiero tutto ciò che avevate era un ricordo di tale percezione.”

Puoi raccontarci cosa succede durante la performance? 
Al Centro culturale e museo Elisarion il pubblico è stato accolto in un’anticamera, dove vi erano opere, disegni e un video mirati a mettere in dubbio la validità del proprio percepire; qui, la lettura dell’estratto dal testo Frammenti di un insegnamento sconosciuto, citato prima, nonché l’annuncio di un esperimento in corso d’opera, ha reso il pubblico parte integrante della performance. Uno ad uno, gli spettatori sono stati successivamente accompagnati nella sala principale museo per prendere posto. La performance ha inizio a luci spente. L’opera di light art Living Fulcrum è accesa in diretta da me. Gli spettatori hanno pochi istanti da dedicare al dipinto e alla verticale di luce, poiché la mia voce li esorta a chiudere gli occhi e a lasciarsi guidare in una dinamica, che consentirà loro di vedere iper lucidamente, bypassando la comfort zone del loro vedere precostituito.
Ho messo a punto questa tecnica a più riprese con vari tentativi, per offrire un modus operandi facile, ripetibile nel tempo e in qualsiasi contesto in cui occorresse essere oggettivi e obiettivi; è sufficiente una mano sul ventre e l’altra sul cuore, dopodiché si inspira a occhi aperti e pieni polmoni, portando la visione esteriore dell’opera dentro di sé. Espirando, lentamente e a occhi chiusi, si figura di toccare l’opera con mani, accedendo idealmente alla trama e all’ordito del dipinto, così come di un video o di una scultura. Questo ciclo di inspirazione ed espirazione senza pause – respirazione circolare – avviene con vigore per sette volte. Dopo sette ripetizioni, si è in stato di quiete davanti all’opera, il tempo pare fermarsi e il silenzio interiore si fa spazio accogliente. In questo habitat privilegiato è possibile vedere anziché interpretare e l’intento dell’artista giunge al fruitore senza più filtri. Provate! La prima volta vi stupirete di come è possibile “ovattare” i sensi, con la pratica invece apprezzerete l’opportunità di “ricevere” l’arte, così com’è stata concepita.

La performance è continuata con una domanda ripetuta tre volte e a seguire, il test: le persone in sala sono state invitate a vistare su un apposito questionario il proprio sentire, basandosi sul repertorio delle emozioni primarie e secondarie sintetizzate dalla psicologia in: paura, rabbia, tristezza, gioia-felicità, disgusto-disprezzo, sorpresa, ammirazione, adorazione, apprezzamento estetico, divertimento, ansia, soggezione, imbarazzo, noia, calma, confusione, desiderio ardente, dolore empatico, estasi, eccitazione, orrore, interessamento, nostalgia, sollievo, amore romantico, soddisfazione, desiderio sessuale. A discrezione, ognuno poteva aggiungere extra delle osservazioni personali. Terminato questo compito, ho dichiarato l’intento immesso nell’opera Living Fulcrum durante le trentatré ore di pittura svoltasi il 14-15-16 febbraio 2020 e altrettanto a voce alta, ho letto le emozioni esperite dagli spettatori nel rispetto dell’anonimato. Risultato: la grande maggioranza ha esperito il medesimo sentimento che mi ha accompagnato durante la fase creativa. L’oggettività emotiva del gruppo è stata raggiunta e il mio ruolo è finito.

Living Fulcrum diventa scenario per l’intervento di Giovanna: un movimento curato, attento, selettivo e vibrante sulle intonazioni spontanee di Nadia, voce sublime che tocca le corde del cuore portando il pubblico oltre il pathos del test. I dati raccolti nel catalogo si prestano a soddisfare la curiosità del pubblico, nonché degli addetti ai lavori.

Parliamo di Living Fulcrum, punto focale della performance, una tela dal diametro di 3 metri eseguita sul luogo dell’evento. Vuoi svelarci qualche informazione sull’opera e sul tuo modus operandi?
Ho creato l’opera stabilizzando un intento preciso dentro di me e ho mantenuto fede a tal proposito per trentatré ore, suddivise in tre giornate precedenti le sette performance presentate. La volontà inoculata nell’opera è questa: “Desidero addentrarmi nel Living Fulcrum– processo creativo dell’esistenza – nel punto o vortice, dove l’idea diventa forma, dove la cellula si fa battito cardiaco, dove la probabilità-onda collassa in particella, dove la vita è sempre e soltanto vita, senza opposti.”
All’inizio ho provato una forte vertigine, uno stupore, un’esaltazione che potrei definire gioia, per poi restare interamente avvolta da un profondo senso di pace interiore e sollievo. Dovendo però indicare un’emozione tra quelle elencate nel questionario e riconosciute dalla psicologia contemporanea, la calma è ciò che ho maggiormente esperito nelle ore di pittura; la calma è pertanto l’emozione che oggettivamente, dovrebbe ricevere il pubblico di Living Fulcrum osservando l’opera.

Questa performance è di fatto un esperimento che ha prodotto dei risultati misurabili sul pubblico presente durante i tre giorni al Centro culturale e museo Elisarion. Vuoi parlarci dei dati raccolti su questo primo campione e delle difficoltà incontrate?
Il grafico raccoglie le esperienze emotive di tutti i partecipanti e conferma la fattibilità dell’arte oggettiva. Questo dato di fatto, se pensato a vasto raggio può aprire scenari inesplorati: un’opera, che suscita un’emozione precisa in un gruppo, genera una sorta di atmosfera che di per sé non è “aria”, non è “nulla”, non è soltanto “pensiero”, è un’emanazione creativa e gli impieghi potrebbero essere molteplici, accettando dulcis in fundo, che l’arte abbia anche un movente e un’efficacia oltre l’estetica.
Il lato oscuro del test corrisponde alle “parole per dirlo”, ossia alla scelta di vocaboli per etichettare il proprio stato emotivo, giacché i soggettivi confini linguistici stabiliscono i limiti del mondo, come Wittgenstein insegna.
Va detto, che selezionare in se stessi, in tempi rapidi, un’emozione appropriata su un questionario non è di certo agevole, così come sapersi ascoltare nell’intimo, identificando con esattezza un’emozione prevalente rispetto ad altre sensazioni sottostanti, insomma, non è per tutti.

L’intento dell’opera è per te elemento centrale nei tuoi lavori. È azzardato affermare che nelle tue opere è presente una costante ricerca iconografica e simbolica, un’attenzione a quello che le immagini possono trasmettere, non solo a livello visivo – il classico ”mi piace” o ”non mi piace” – ma anche a un livello inconscio?
Non è azzardato.
Sento una profonda responsabilità nell’atto creativo e le parole di Henry Miller da anni risuonano dentro di me: “L’arte non insegna nulla, tranne il senso della vita.”
Questo significa, che non desidero riversare nell’opera i miei “mostri” per poi condividerli o amplificarli con le affinità elettive del pubblico. Quando una mal creazione viene alla luce, brucio, perché nel fuoco riconosco il potere della purificazione e della trasmutazione. Le quattro fasi dell’a-centr-ismo (per maggiori info vi consigliamo di leggere l’e-book) sono una mia prassi per estraniare l’ego/egoismo/egotismo dell’artista della creazione, una sorta di metodico distanziamento, per permettere un’espressività “universa(ti)le”.
Da anni sono alla ricerca di mezzi tecnologici per identificare il valore intrinseco di un’opera, ben oltre il mi piace non mi piace, ha valore economico o meno… di fatto, m’interessa sapere se l’opera in questione, fa bene o se produce malessere; ciò che mi preme è misurare l’impregnazione opera-fruitore, ma per adesso ho soltanto dati e stime “ufficiose”, o meglio, non ancora riconosciute dalla scienza tradizionale.
Mi permetto un esempio: direi che nessuno ha da disquisire sulla qualità dell’Urlo di Munch, ma che effetti avrebbe su di noi l’immagine di quel potentissimo grido silente, se avessimo il privilegio di avere l’opera in camera da letto giorno dopo giorno? Non so voi, ma io me lo chiedo e mi pongo la stessa domanda a fine di ogni mia opera, motivo per il quale sono giunta alla conclusione di fare soltanto arte per lo spirito e dello spirito o niente.

L’esperimento era già stato fatto in precedenza? Vuoi parlarcene?
L’esperimento all’Elisarion è una prima, ma non è nato per caso, è la continuazione di un progetto precedente intitolato La persistente inFormazione determina la forma presentato nell’estate 2019 alla Fondazione Lac o Le Mon, in Puglia, nella residenza d’artista dove si sono tenuti cicli sul tema Estetica dell’Impercepibile a cura dall’artista Emilio Fantin.
In quell’occasione proposi ai partecipanti un esperimento: misi fogli bianchi e colori su un tavolo; al centro un mio dipinto, coperto. Chiesi a ogni presente la disponibilità a fare una meditazione da me ideata per amplificare la ricettività del campo cuore, come fosse uno schermo bianco. Lessi a voce alta il titolo e l’intento dell’opera, dopodiché chiesi loro di segnare sul foglio le prime immagini apparse all’occhio della mente.
Risultato: l’insieme di quelle impressioni, stilizzate, ha riprodotto a grandi linee l’opera mai intravista. Ogni partecipante, di fatto, ha colto “qualcosa”. L’esperimento è stato ripetuto dopo alcuni mesi in altra sede e il risultato confermato. In sintesi, il campo del cuore unito alla mente può prevedere, riuscirci è solo questione di allenamento. Questa è arte? Dello spirito di sicuro.

Il progetto verrà presentato in altre sedi? Se sì, attendiamo volentieri aggiornamenti per poter invitare i nostri lettori a partecipare!
Assolutamente sì, ma onde evitare di pianificare e disdire come già accaduto, restiamo in attesa di comprendere “la stabilità” delle disposizioni Covid… Nel frattempo, vi invito a una presa di visione del catalogo.

Maria Grazia Lurgo, in arte Mya Lurgo, nasce a Bordighera (IM, Italia) il 30 maggio 1971, da oltre vent’anni è operativa in Svizzera. L’espressione artistica è fin dall’infanzia una via di ricerca e ritrovamento. Il percorso di studi non è accademico. Interesse primario dell’artista è lo studio di testi esoterici e la traslazione in opera dei contenuti. Tale ricerca nasce ispirata all’Immateriale di Yves Klein e all’Ordine Rosacrociano, per articolarsi successivamente in una propria essenziale visione chiamata acentrismo. L’acentrismo e la conseguente arte acentrica si propongono la riduzione ai minimi termini della componente egocentrica, egoista, egotista dell’esistenza e il relativo corredo di condizionamenti acquisiti, per poter sviluppare un habitat mentale ed emotivo sempre più neutrale e privo di “ismi” accentratori, al fine di permettere la trasmissione dello spirituale nell’arte: ideale significante per l’espressione artistica di Mya Lurgo.

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