“Tra ciò che penso, ciò che voglio dire, ciò che penso sia, ciò che dico, ciò che voi desiderate capire, ciò che intendete, ciò che comprendete… ci sono dieci possibilità che ci siano difficoltà di comunicazione. Ma proviamo comunque” (Bernard Werber)

HABIT ®azione: razionare se stessi per comunicare

Comunicazione significa letteralmente “mettere in comune”, non tanto beni materiali quanto messaggi che esprimono intenzioni, sensazioni, pensieri, sentimenti o informazioni.

Il ciclo della comunicazione “emittente-ricevente-viceversa” è un relazionarsi delicato da non sottovalutare, anzi occorre ascoltare e ascoltarsi con iperlucida osservazione per acquisire l’arte di conoscere se stessi, ma soprattutto è doveroso destreggiarsi cautamente nei fiumi di parole, dosando le impennate della reattività e il blatero.

“Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire” (Alda Merini)

La comunicazione non è “solo” quello che diciamo a noi stessi e agli altri, magari con la regola delle cinque C: chiarezza, completezza, concisione, concretezza, correttezza, bensì quello che gli altri percepiscono con la loro interpretazione, il più delle volte condizionata dal volume e dal tono della voce, nonché dalle espressioni facciali e corporee, per non elencare la miriade di influenze alle quali siamo reciprocamente sottoposti, nonché le credenze che ci hanno convinto.
Essere liberi di essere e di trasmettere “quest’esserità” pare un’utopia e far approdare un messaggio, così come lo si è pensato, è un’impresa assai ardua.
Essere incompresi e sentirsi incompresi, due cose ben distinte, sono il male del secolo.
Comprendere, va specificato, non è sinonimo di “accettare”. Comprendere è sinonimo di capire e cogliere il senso non include, implicitamente, il consenso: “ti ho capito ≠ sono d’accordo con te”. Anche no (libero arbitrio).
Premesso questo:

“La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima” (Henri Bergson)

I disegni in elaborazione per la serie HABIT ®azione sono messaggi pensati per essere indossati. L’abito in sé, quale oggetto d’abbigliamento, è da definire. Il concetto invece c’è: il vestiario si fa habitat, costume, consuetudine, usanza, abitudine, habit in inglese.
La ®azione (razione) quotidiana è la “dose d’anima” che si è disposti a incorporare, indossare, vivere alla luce del sole, una sorta di pubblica enunciazione a guisa di “coordinata d’uso” della persona o del processo alchemico in corso (ogni persona ha i propri ribollii evolutivi interiori…).
Siamo delicati e in continuo sviluppo. La vita ci stimola sotto tutti i punti di vista e nonostante l’incombere della tecnologia 3.0 ci riesce ancora difficile dire sì che sia sì e no che sia no, senza rimpianti o rimorsi.
Più volte nel corso degli anni mi è capitato di pensare “me lo scrivo sulla maglia così sapete regolarvi/razionarvi”. Per esperienza, quando un’idea si ripropone di continuo occorre darle spazio. Questa serie vuole dare spazio all’anima. Fuori, sul vestito, dove tutti possono finalmente vederla.

La serie HABIT®azione evolve e completa la serie tuttora in corso Abiti di san(T)ità – Soul portrait. Fisionomie ri-trattate.
La serie è un work in progress.

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